La fine delle proposte "esperienziali"
La nostra conclusione, che spiazzerà molti operatori olistici, è questa: riteniamo che non abbia più senso proporre "incontri esperienziali". Che la giornata "esperienziale" abbia fatto il suo tempo.
Arriviamo a questo scritto dopo mesi di confronto, di dibattiti e di valutazioni. Ma anche in seguito ad attente osservazioni di quello che ci circonda, dei bisogni e delle richieste delle persone. E dopo molto ascolto, interiore e "ambientale".
E non è che riteniamo che davvero non abbia valore in assoluto una proposta simile. È che, semplicemente, dal nostro punto di vista, siamo pronti per fare un salto in avanti: la vita stessa è "esperienza", quindi l'obiettivo è che la vita di tutti i giorni possa inglobare, nella quotidianità e nelle abitudini, la parte esperienziale. Questo è il punto di arrivo, che comporta una vera e profonda crescita personale e spirituale. La giornata di "esperienza" può essere un assaggio, può servire per cercare di attivare il risveglio in persone che non hanno ancora iniziato a pensarci. Ma non di più, perché quello che abbiamo osservato è che si crea una specie di "bolla" entro cui vengono relegate tutte le esperienze che classifichiamo come spirituali, ma è come se fossero un parallelo della nostra vita. È come se considerassimo la spiritualità come le attività che facciamo in vacanza, ma di cui poi ci dimentichiamo per il resto dell'anno. E, se è così, è davvero inutile. I comportamenti malati che dobbiamo riconoscere sono quelli della vita di tutti i giorni, quando parliamo con i nostri familiari e con i colleghi di lavoro. Le frustrazioni su cui dobbiamo mettere le mani non sono staccate dalla nostra realtà, ma sono parte della quotidianità. E posso garantirvi che è molto difficile portare cambiamenti nella quotidianità se agiamo in bolle "esperienziali", se prendiamo l'abitudine di fare lavori di crescita personale in luoghi e tempi protetti, rarefatti.
Vi faccio un esempio del rischio che si corre. Spesso mi è capitato di assistere a casi in cui la risposta che emergeva dalla pratica "esperienziale" fosse: devi cambiare il tuo lavoro, o devi lasciare quella persona. Spessissimo. Magari con l'interpretazione agevolata dal facilitatore di turno. Ora, il lavoro spirituale è in primis lavoro su di sé. Quindi, per prima cosa, prima di cambiare qualcosa fuori, si cambia qualcosa dentro. Se poi il mio cambiamento interiore mi mostra e mi fa capire chiaramente che non sto più bene in un luogo di lavoro, in un rapporto o altro, allora sarò pronto, in consapevolezza, a cambiare lavoro o a lasciare un partner. Ma non si parte da lì. Se partiamo da lì, entreremo automaticamente in una situazione analoga, e poi via di seguito, all'infinito, senza aver risolto nulla davvero. Finché non ci vorrò mettere le mani. Finché non ci assumeremo le responsabilità noi delle nostre scelte ma anche e soprattutto delle nostre emozioni e dei nostri stati d'animo. Dipende da noi. Essere felici o meno. Consentire che ci manchino di rispetto. Consentire che non ci ascoltino. Che non ci vedano. Siete pronti a cambiare? Servono incontri diversi, nuovi. Come?
È per questo che stiamo ripensando tutti i nostri eventi. Stay tuned. 😉
Ahò
Danilo e miOrakle
Sono perfettamente d'accordo. Credo ancora nel valore della giornata esperienziale, ma esclusivamente come assaggio. Così come credo che nessun lavoro di qualsiasi operatore sia indispensabile per la guarigione di qualsiasi situazione. L'operatore dà solo una spinta: il lavoro è sempre esclusivamente individuale. Questo è il mio pensiero 💖
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